🧼 Il grasso sulla catena (e i pantaloncini bianchi)
- Filippo Busca
- 23 giu
- Tempo di lettura: 3 min
Questo pomeriggio ero in spiaggia — abito a Rimini, lo dico per chi non lo sa. Era ora di rientrare, vado a recuperare la bici e... sorpresa: la catena è scesa.
Niente di tragico, è successo a tutti almeno una volta. Ribalto la bici, mi metto lì a rimettere la catena con tutta la pazienza possibile. Il risultato? Le mani nere come la pece, come da copione.
Francesca, mia moglie, si avvicina premurosa e mi dice: — "Ti do una mano?" Io, convintissimo: — "No amore, lascia perdere, altrimenti ci sporchiamo in due."
Lì per lì mi sembrava una scelta saggia ma come se si sa, l’inferno è lastricato di buone intenzioni.
Essendo al mare, la soluzione per pulirsi le mani è ovvia: le fontanelle pubbliche. Peccato che siano quelle “a pressione”, che se lasci il pulsante l’acqua smette di uscire. Mi viene un’idea: — "Francy, tieni tu premuto mentre io mi sciacquo le mani."
Ed ecco che, mentre io sono fieramente impegnato a sfregare le mani sotto l'acqua per togliere il nero della catena, accade l'irreparabile......cominciano a partire una serie di piccoli schizzi. Minuscoli, ma persistenti. L'acqua scura comincia a decorare con precisione chirurgica i pantaloncini bianchi (fino a quel momento) di Francesca.
Ora, vi risparmio il resto. Come potete immaginare, non è finita benissimo. Ma non è questo il punto.
Quando “aiutare” complica le cose. La cosa che mi ha colpito e sui cui ho riflettuto, è stata la naturalezza con cui avevo pensato di fare la cosa giusta. E in effetti, l’intenzione era giusta. Volevo risparmiarle di sporcarsi. Volevo cavarmela da solo. Volevo... fare bene.
E invece, proprio quella scelta, fatta per proteggere, ha creato un problema maggiore. Per me è stata una piccola lezione. Una che ha molto in comune con ciò che vedo accadere in azienda.
Progetti gestionali: quando il problema lo crei "per aiutare".
In molte aziende, quando si introduce un nuovo gestionale o si parte con un progetto di cambiamento, accade qualcosa di simile. Si agisce con le migliori intenzioni. Spesso si parte “per semplificare”, “per velocizzare”, “per aiutare le persone a lavorare meglio”.
Ma se non si fa attenzione, si rischia di generare schizzi. Non di grasso, ma di confusione.
Perché un gestionale non è solo un software. È un ecosistema. È fatto di abitudini, di processi interconnessi, di persone che lavorano secondo logiche spesso non scritte. Cambiare una cosa qui può avere effetti imprevedibili là.
E proprio come con la fontanella, se nessuno si ferma a pensare alle conseguenze, anche un gesto apparentemente utile può peggiorare la situazione.
Una delle frasi che sento spesso è: — “Facciamo questo cambiamento, così li aiutiamo.” Ma aiutare davvero significa capire il contesto. Significa chiedersi:
Chi viene toccato da questa modifica?
Cosa cambia davvero, a livello operativo?
A chi stiamo chiedendo un cambio di abitudini?
Abbiamo considerato tutte le dipendenze?
Perché anche il cambiamento meglio intenzionato, se gestito con superficialità, può generare resistenza, rallentamenti, tensioni.
Leadership, non scorciatoie. Il messaggio non è: “evitate di cambiare”. Il messaggio è: non improvvisate. Non bastano i buoni propositi. Serve una visione ampia, una leadership consapevole, una comunicazione chiara.
E, soprattutto, serve ascolto. Perché se Francesca mi avesse detto: “Occhio ai pantaloncini”, forse avrei cambiato strategia. (O forse no, ma almeno non potrei dire che non ero stato avvisato).
Ascolta, osserva, prevedi. Ogni volta che ti trovi a voler “dare una mano” in un progetto gestionale, chiediti se:
stai valutando le conseguenze su tutto il sistema,
stai ascoltando abbastanza chi quel sistema lo vive ogni giorno,
stai costruendo qualcosa di stabile o solo “tamponando”.
Le buone intenzioni sono importanti, ma non bastano. Servono metodo, attenzione e visione. Altrimenti, più che aiutare… sporchi i pantaloncini bianchi di qualcun altro (...Francy docet)
Io con questo concludo e #restoinascolto
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