“Premere tutti i bottoni”(o perché a volte, nel dubbio, complichiamo tutto)
- Filippo Busca

- 14 nov
- Tempo di lettura: 2 min
Venerdì mattina.
Sto andando in studio da mia moglie, che ha l’ufficio in un grosso stabile. Sta ai piani alti, quindi, come tutti, prendo l’ascensore.
Appena si entra nella hall del palazzo, ci si trova davanti a due fiammanti ascensori (no, per la verità non sono fiammanti ma, sai com'è, arricchisce lo storytelling).
Confesso: non ho mai capito bene come funzionano i bottoni per chiamarli. Di solito ci sono due piccole frecce contrapposte… e nel dubbio, io faccio quello che credo facciamo in molti: li premo tutti.
Tanto, prima o poi, uno arriverà (...e su, ammettetelo: lo fate anche voi 😄).
Quel giorno però incontro all’ingresso un amico elettricista. Uno di quelli precisini, nel senso bello: sa quello che fa, nel suo lavoro è un maestro. Mi vede lì, pronto a spiattellare i pulsanti come se dovessi lanciare un razzo spaziale, e scatta la lezione:
“No, Filippo, non si chiamano così gli ascensori. Devi sempre premere la freccia che viene verso di te. Se li premi entrambi, rischi di creare fermate inutili e rallentamenti per gli altri.”
Niente da dire: ha ragione.
E io, mentre annuisco con un sorriso, penso che non vedo l’ora di essere al fianco di qualcuno che sbaglia, per restituire la lezione con aria da esperto in “chiamata ascensori”.
Fin qui, tutto normale. Ma poi, come spesso mi succede, mi viene spontaneo allargare lo sguardo. Nelle organizzazioni succede esattamente così.
Davanti a un progetto complesso, soprattutto quando c’è di mezzo la tecnologia, facciamo esattamente il gesto dei pulsanti: premiamo tutto.
Non scegliamo. Attiviamo.
Apriamo task, riunioni, stream di lavoro, sotto-stream, strumenti nuovi e altri “per sicurezza”, richieste parallele, e-mail in CC a tutto il reparto, gruppi Teams chiamati come se fossero missioni segrete della NASA.
Convinti che più cose facciamo, più ci muoviamo, più risultati arriveranno.
Questa dinamica la vedo spesso nei progetti ERP o di digitalizzazione: l’azienda vuole “accelerare”, tutti temono di restare indietro, e quindi ciascuno apre la propria corsia preferenziale per sentirsi al sicuro.
Il risultato? Un sistema che si muove molto… ma avanza poco.
Proprio come nell’ascensore, finiamo solo per rallentare tutto. Perdiamo tempo in fermate intermedie che non servono a nessuno.
Ogni iniziativa ha un costo nascosto: un’ora in più di analisi, una riunione in più da incastrare, un flusso parallelo da gestire.
La complessità non nasce dal digitale. Nasce dal sovraccarico di scelte non scelte.
E negli ERP questo è evidente: più processi paralleli, più eccezioni, più “lo teniamo anche così, non si sa mai”… più il progetto rallenta.
La semplicità non è un’opzione estetica: è un vantaggio competitivo.
A volte basterebbe fermarsi un attimo e chiedersi: “Dove vogliamo davvero andare?”
Perché la complessità non si gestisce aggiungendo, ma scegliendo. La tecnologia, i processi, le riunioni… servono a poco se non sappiamo che freccia stiamo premendo.
Nel dubbio, invece di premere tutti i bottoni, forse dovremmo fermarci un secondo e guardare la freccia giusta. Perché semplificare non significa fare di meno. Significa fare meglio. E in un mondo che corre, è forse la competenza più difficile e più preziosa da coltivare.
E tu, hai capito qual è la freccia giusta da premere?
Con questo concludo e #restoinascolto.




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