La mensola Ikea e il vizio delle scorciatoie (anche in azienda)
- Filippo Busca

- 24 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Personalmente amo la lettura.
Romanzi, saggi, testi formativi… dipende dal periodo dell’anno.
In vacanza mi butto sui romanzi o su libri che cerchino di compensare qualche mia lacuna culturale (e ce ne sono). Durante l’anno invece mi rifugio nei saggi e nei libri formativi, quelli che ti accendono connessioni nuove mentre vivi le giornate di lavoro.
C’è però un dettaglio di cui non vado fiero: la mia memoria è pessima.
Così, per compensare, mi circondo di libri veri, cartacei, fisici. Mi illudo, che stando lì, a portata di mano, possano trasmettermi conoscenza per osmosi.
E qui nasce il problema.
Come ho raccontato in altri articoli, vivo in una casa piccola. E in una casa piccola i libri crescono più in fretta dello spazio. Per questo, ciclicamente, arriva il momento di aggiungere una mensola. (Buttare i libri? Mai. Piuttosto mi trasferisco.)
L’ultima mensola l’ho montata pochi mesi fa, in camera da letto. Serviva bianca, semplice, che si mimetizzasse col muro e non invadesse lo spazio. Insomma: la classica mensola Ikea. Perfetta. Economica. Essenziale.
Ammettiamolo, c’è un momento nella vita adulta che ci mette tutti sullo stesso piano: montare un mobile Ikea.
Non importa quanto tu sia competente nel tuo lavoro, quanto tu sia razionale, strutturato, preciso… davanti a quella scatola lunga e sottile, con dentro mille viti identiche e un omino sorridente che ti invita a “seguire le istruzioni”, diventiamo tutti le stesse persone: individui che credono di sapere cosa stanno facendo… finché non si rendono conto che la mensola è storta.
È sempre così. Apri il pacco con entusiasmo zen. Tiri fuori i pezzi e li disponi sul pavimento “giusto per capire”. Poi guardi il libretto illustrato… …ma non davvero. Non fino in fondo. Dici: “Vabbè, è facile. Due viti qui, tre di là, questo va sopra, questo va sotto. Che ci vuole?” E inizi. Determinato. Efficiente.
A metà costruzione, ti rendi conto che qualcosa non torna. Un asse è al contrario. Una vite è sparita. Il pezzo che pensavi fosse “il destro” è, sorprendentemente, “il sinistro”.
Risultato: ti ritrovi con una mensola che pende leggermente verso il basso, ma non abbastanza da avere il coraggio di smontarla tutta. Così dici: “Ma sì, è un po’ storta… ma regge.” E la lasci lì. Finta perfetta. Precaria.
Ogni volta che entro in un’azienda e vedo un processo fatto “più o meno”, riconosco lo stesso identico schema mentale della mensola Ikea.
Le aziende spesso hanno:
procedure scritte
sistemi definiti
manuali operativi
processi ERP o CRM modellati
flussi approvati dal management…
…ma poi, nella vita reale, succede una cosa molto umana: le istruzioni ci sono… noi le guardiamo… e poi facciamo di testa nostra. Non per malafede. Perché ci sembra più veloce.
“Non serve che registro quella cosa nel sistema, la segno dopo.”
“Il flusso prevede questo step ma dai, evitiamolo: quello lo conosco.”
“Il CRM dice di caricare qui, ma io preferisco il mio file Excel.”
“Lo faccio così da anni, funziona.”
Funziona. Sì. Come la mensola che pende. Finché non metti sopra qualcosa di pesante.
Nel digitale, il problema non è quasi mai la tecnologia. È la disciplina del processo. E ci sono tre dinamiche che si ripetono sempre:
L’illusione della velocità. Seguiamo “più o meno” il processo perché crediamo di risparmiare tempo. In realtà: generiamo errori, creiamo eccezioni, costruiamo deviazioni, apriamo falle nel dato. È come montare un mobile saltando i passaggi: sembra più veloce… finché non devi rifarlo.
L’adattamento informale. Ogni team sviluppa la propria versione del processo. Un piccolo trucco qui. Una deroga là. Una scorciatoia rispetto a ciò che “chiede il sistema”. Risultato? Dieci varianti della stessa procedura, nessuna standard, tutte inefficienti.
L’effetto domino. Un processo “storto” non resta mai isolato. Trascina con sé: i dati, la reportistica, le decisioni e le aspettative. Una mensola storta rovina tutto ciò che ci metti sopra. Un processo storto rovina tutto ciò che ci costruisci dentro.
Ecco tre domande operative che puoi usare già oggi:
"Lo sto facendo per davvero… o per come me lo ricordo?” I processi aziendali, come i manuali Ikea, valgono solo se li segui.
“Qual è lo step che saltiamo più spesso… e perché?” Di solito è lì che si annida il problema; e la soluzione.
“Il processo è difficile… o lo abbiamo reso difficile noi?” Molte complicazioni non sono nel sistema, ma nelle nostre abitudini.
La verità è che siamo tutti bravi a iniziare un mobile Ikea. Il difficile è finirlo bene. E in azienda vale la stessa cosa: la differenza non la fa la tecnologia, ma la cura con cui la usiamo.
La semplicità non è un regalo: è una scelta quotidiana. Una vite alla volta.
E tu? In quale processo della tua organizzazione c’è una mensola che pende… ma che nessuno ha ancora il coraggio di raddrizzare?
Con questo concludo e #restoinascolto.




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