ll tappo maledetto e l’arte di abituarsi al cambiamento
- Filippo Busca

- 26 set
- Tempo di lettura: 2 min
Non ricordo esattamente la data di entrata in vigore della norma, ma da qualche tempo è entrato nella quotidianità di tutti noi una nuova routine: "la lotta con la bottiglia di plastica e il tappo maledetto" (potrebbe quasi essere il titolo di un film 😊 ). Diciamolo, ogni tentativo di bere si è trasformato in un piccolo esercizio di contorsionismo.
Questa mattina, aprendo l’ennesima bottiglia d’acqua, mi sono ritrovato a fare il gesto ormai “classico”: innaturale rotazione del polso, bicchiere pronto… e inevitabile fuoriuscita di acqua sul tavolo. Nonostante la tecnica affinata con mesi di allenamento, il risultato non cambia. L’unico beneficio? Il rinforzo della muscolatura del polso (...che tra 100 anni sarà probabilmente ipersviluppato nei nuovi nascituri, insieme al pollice da scroll dei social 🤳).
E vogliamo parlare di quando si prova a bere direttamente dalla bottiglia? Un disastro annunciato.
Perché racconto questa scena tragicomica? Perché, se ci pensiamo bene, è un esempio perfetto di cambiamento imposto. Una regola cambia, una norma entra in vigore, e all’improvviso tutti ci ritroviamo a modificare un gesto quotidiano.
All’inizio c’è fastidio, resistenza, ironia. Poi — quasi senza accorgercene — quel gesto nuovo diventa la normalità.
Ecco, in azienda succede lo stesso. Il mercato cambia, le regole cambiano, i clienti cambiano… e ciò che oggi sembra innaturale, domani diventa routine.
La vera domanda che ogni impresa dovrebbe porsi non è “se” cambiare, ma “come reagire al cambiamento”. Perché la velocità con cui i comportamenti nuovi diventano abitudini è impressionante. E chi non si adatta resta indietro.
Penso ad alcuni esempi concreti che incontro spesso:
Supply chain – per anni bastava avere consegne puntuali. Oggi i clienti si aspettano tracciabilità in tempo reale, aggiornamenti automatici e una comunicazione trasparente. All’inizio sembra complicato, poi diventa la nuova normalità.
Gestione dati – molte aziende vivevano benissimo di Excel e scambi di mail. Poi arriva un nuovo ERP che centralizza i dati e obbliga tutti a inserire le informazioni “a sistema”. All’inizio è vissuto come una scocciatura, dopo qualche mese non potresti più farne a meno.
Customer care – una volta bastava il numero fisso. Ora i clienti vogliono chat, portali, risposte veloci. All’inizio sembra un onere insostenibile, poi ci si rende conto che fidelizza e semplifica.
Alcuni spunti:
Allenare la flessibilità – processi e persone devono abituarsi a rivedere periodicamente il proprio modo di lavorare, senza dare nulla per immutabile.
Fare del cambiamento una consuetudine – se ogni cambiamento viene vissuto come un’eccezione, diventa traumatico. Se diventa prassi, allora è naturale.
Mettere la tecnologia al servizio dei processi – i software non devono solo “supportare”, ma devono rendere più veloce l’adattamento alle nuove richieste del mercato.
Il tappo della bottiglia all’inizio sembrava solo un fastidio. Ora è entrato nella nostra quotidianità, e tra un po’ non ci faremo nemmeno più caso. Così funziona il cambiamento: parte storto, ma diventa normale.
La vera sfida per un’impresa è allenarsi a trasformare il cambiamento in una routine. Non subirlo, ma usarlo come motore di crescita.
E tu, nella tua azienda, come vivi il cambiamento? È ancora una contorsione innaturale o già una nuova abitudine?
Con questo concludo e #restoinascolto.




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